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Parliamo di musica by Stefano Bollani

By Stefano Bollani

Parliamo di musica «Lidea che consistent with capire l. a. musica si debba consistent with forza possedere un certo bagaglio culturale è una turbata, spesso è una scusa consistent with pigri, o una medaglia acquisita sul campo according to chi crede di essere fra quelli che l. a. capiscono.
Avere gli strumenti in step with godere della musica non significa conoscere né larmonia né lepoca in cui è stata scritta né il retroterra culturale del compositore, ma riconoscere qualcosa che abbiamo dentro e che risuona.»
In questo libro Stefano Bollani ci spiega il bello della musica. E lo fa con parole semplici, con il suo spirito libero, sfatando insidiosi luoghi comuni e svelando i segreti di un laboratorio fantastico, quello dellimprovvisatore: armonia, melodia, dinamiche, ritmo, colpi a effetto, trucchi, debolezze e assi nella manica dei jazzisti, dei creatori pop e degli interpreti.
Parliamo di musica è un viaggio affascinante nei meccanismi della creazione musicale raccontato da uno dei massimi talenti del nostro tempo.
Bollani in line withò prima di tutto è un vorace ascoltatore, dai Beatles a Frank Zappa, da Elio e le Storie Tese a Giacomo Puccini, da invoice Evans alla bossanova di Antonio Carlos Jobim e co compilando una sorta di appassionato «taccuino di appunti», il grande pianista ci guida nella comprensione dei suoni e delle loro assorted chiavi di lettura, fino a farci scoprire che si tratta di un percorso dentro le nostre stesse percezioni nascoste.
Perché «non solo nella musica, ma anche nella vita, il vero spettacolo è ascoltare».

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Le colonne sonore devono comunicare emozioni chiare, possono anche essere complesse talvolta, e appoggiarsi su schemi musicali più arditi. Ma per anni hanno rimandato quasi inevitabilmente a Puccini, lavorando su archetipi culturali. C’è chi gioca con una certa ambiguità e chi invece lavora in maniera più chiara e diretta. Nel primo caso, l’esempio più lampante e famoso è la musica di Profondo rosso, dei Goblin. È una melodia molto semplice dove è la terza minore, il Do, a conferire la tonalità minore.

Più andiamo avanti e più, con computer e telefonini, preferiamo scriverci credendo di evitare malintesi... quando la solita mitica équipe di scienziati inglesi, che forse esiste solo nella fantasia dei redattori di certi quotidiani, chissà, ci ha fatto sapere che il contenuto delle nostre frasi conta, in caso di comunicazione diretta fra due persone, diciamo un 20 per cento: il resto è linguaggio del corpo, odori, suoni, sguardi, accenti. Ascoltare la musica significa riconoscere i suoni. Non è mica poco.

L’armonia è proprio il senso che gli accordi acquisiscono stando uno accanto all’altro, ed è qualcosa che il nostro orecchio si è abituato da sempre ad apprezzare o a rifiutare, a riconoscere o a considerare “strano” senza che si sappia bene il perché. Ma un perché esiste. Per esempio, mettendo insieme un accordo di Re minore, uno di Sol settima e uno di Do maggiore diamo vita a una “progressione armonica” che al nostro orecchio piace molto, dal momento che Joseph Kosma scrivendo Lesfeuilles mortes ci ha abituato a quel suono, e ben prima di lui l’operetta e prima ancora i compositori romantici come Chopin.

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